Un ingrediente che consumiamo più spesso di quanto pensiamo
La Puglia, con la sua straordinaria varietà di prodotti, consente di portare in tavola ogni giorno verdure diverse e ricche di sapore. Molto produttive e generose di raccolta sono le cicorie catalogne, che si sono ben adattate al clima caldo e al sole della Puglia. Le cicorie catalogne rappresentano una delle eccellenze agroalimentari pugliesi, un grande legame tra la terra, la tavola e il territorio.
Tra gli ingredienti simbolo della cucina pugliese, l’aglio intrecciato ha un ruolo speciale, affiancando i pomodori appesi e le conserve fatte in casa. Ogni treccia d’aglio è un pezzo di storia, che porta con sé i sapori semplici della nostra cultura gastronomica.
L'aglio coltivato (Allium sativum) è una pianta bulbosa dalle origini asiatiche, conosciuta e apprezzata già nell'antico Egitto. Esistono anche varietà di aglio selvatico, come l'aglio orsino (Allium ursinum), che cresce spontaneamente ed è generalmente più piccolo rispetto all'aglio coltivato. Con il suo aroma e odore molto pungente di zolfo, l’aglio ha trovato un posto d'onore insostituibile in cucina: aggiunge carattere a molte pietanze ed è apprezzato come ottimo rimedio naturale.
Una pianta spontanea che racconta la Puglia
Percorrendo i tratturi e attraversando le aree boschive della Puglia, ci si puo' imbattere in un albero fiero e maestoso: il sorbo. Questo albero, che può raggiungere un’altezza tra i 15 e i 20 metri, è particolarmente diffuso nelle regioni mediterranee in particolare in Puglia, dove rappresenta una pianta fruttifera molto antica. Il Sorbus domestica è molto presente nei boschi del Gargano, dove da secoli i contadini lo conservano come parte preziosa del paesaggio e della cultura locale.
Il sorbo è una pianta robusta e adattabile, capace di resistere sia ai rigidi inverni che alle calde estati pugliesi. In autunno, le sue foglie peduncolate si colorano di giallo e arancio. In primavera, si adorna di grappoli di piccoli fiori bianchi, discreti e poco profumati, che annunciano la comparsa dei suoi frutti autunnali. I suoi frutti, le sorbole o sorbe, hanno una forma particolare, che oscilla tra quella di una piccola mela e una pera, e presentano un colore variegato: vicino al peduncolo restano verdi, mentre il resto del frutto sfuma in tonalità giallo-arancio e rossastre. I frutti cadono a terra quado ancora non sono maturi. Quando sono acerbe, però, contengono un'alta concentrazione di tannini, che le rende molto astringenti, con un sapore allappante e sgradevole, per cui non si possono mangiare!
Un prodotto italiano per eccellenza
Le cime di rapa sono un ortaggio fondamentale per la cucina italiana, apprezzato soprattutto nel Sud e in particolare in Puglia, che da sola produce quasi un terzo del raccolto nazionale. Qui, le cime di rapa sono una coltura agricola tipica. Questo prodotto, infatti, è riconosciuto come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), una certificazione che tutela le colture legate alla storia e alla cultura italiana. Nel Sud, oltre alla Puglia, sono molto apprezzate in Campania, dove si trovano i friarielli, una varietà simile.
Le cime di rapa appartengono alla famiglia Botanica delle Brassicaceae (o Crucifere), come cavoli, broccoli e rape, e si distinguono per le loro foglie verdi e le infiorescenze tenere e saporite.
Orti invernali: la cultura contadina dalla semina a spaglio
La varietà e la stagionalità: da settembre ad aprile
- Varietà precoci: si seminano alla fine dell'estate, per una raccolta in autunno e sono ideali per chi desidera gustare le cime di rape nei primi mesi freddi.
- Varietà di medio periodo: vengono seminate tra la fine dell'estate e l'inizio dell'autunno, con raccolta in inverno, garantendo una produzione abbondante e continua.
- Varietà tardive: queste si seminano in autunno inoltrato e vengono raccolte in primavera, assicurando un raccolto tardivo e prolungato.
Il nome e le caratteristiche botaniche
Un superfood dai numerosi benefici
Come pulire e cucinare le cime di rapa
Idee per ricette con le cime di di rapa
In Puglia, abbiamo una straordinaria varietà di funghi: dal cardoncello al porcino, passando per il chiodino e il pregiato ovulo. Tuttavia, per preservare la biodiversità e la sostenibilità, la Regione Puglia ha stabilito delle regole per la raccolta:
I funghi chiodini (Armillaria mellea) sono una presenza tradizionale molto apprezzata nella cucina pugliese. Il nome latino deriva da “Armilla”, che significa braccialetto (in riferimento all’anello sul gambo), e “Mellea”, che indica il color miele tipico del cappello. Crescono in gruppi numerosi sia come parassiti su piante legnose vive, sia su alberi morti o tronchi in decomposizione.
Questo li rende particolarmente adattabili, poiché si trovano sia su alberi sani, sia su legni in decomposizione, dove possono trarre nutrimento anche dai residui vegetali. Sono quindi facilmente reperibili un po' dappertutto. In Puglia, i funghi chiodini si trovano sia nei boschi che negli uliveti o su piante di gelso, soprattutto nelle aree del Gargano e della Murgia.
Puglia, la natura offre tesori incredibili a chi ama esplorare e scoprire prodotti genuini, e i funghi sono tra gli ingredienti più prInegiati che si possano raccogliere. Tra tutti, spicca la Mazza di Tamburo (Macrolepiota procera), un fungo affascinante dal sapore unico, che cresce frequentemente un po' dappertutto nei boschi, prati, pascoli e conquista per la sua versatilità in cucina. Questo fungo è apprezzato non solo per il suo gusto, ma anche per le sue dimensioni e la sua particolare forma, che lo rendono riconoscibile a colpo d’occhio.
IL PORCINO
Il porcino, Boletus edulis, è il re dei funghi, uno degli alimenti più amati e ricercati in tutta Italia. Cresce abbondante in alcune aree della regione, predilige i boschi di latifoglie e, spesso, gli spazi soleggiati, in particolare nelle aree boschive delle Murge e del Gargano.
Il fungo ovulo (Amanita Caesarea), raro e prezioso tesoro gastronomico, noto anche come "cibo degli dei". Fungo commestibile pregiato, dal cappello arancione avvolto in un velo bianco alla nascita, dal gusto dolce e delicato, inconfondibile e ricercato. Cresce nei boschi di castagni, querce, pini, noccioli prediligendo ambienti dal clima mite con estati calde e asciutte. Considerato una prelibatezza culinaria, è ottimo sia crudo che cucinato. All'interno troverai tutto su questo fungo straordinario: dove cresce, come riconoscerlo e cucinarlo al meglio.
Il galletto è un pregiato fungo autunnale molto apprezzato nella cucina pugliese. Lo si trova principalmente nei boschi di faggio e quercia, in particolare nel Parco Nazionale del Gargano e nella Foresta Umbra. Tuttavia, questo delizioso fungo si adatta bene a diversi ambienti e può essere raccolto anche nei boschi misti del Subappennino Daunio e dell'Alta Murgia. La sua presenza è legata alla presenza di alberi con cui crea una simbiosi, come faggi, querce, castagni e persino alcune conifere. Questo fungo, conosciuto anche come finferlo o gallinaccio, è un vero e proprio regalo della natura. Cresce e ci regala un sapore unico, dolciastro e inconfondibile.
SIMBOLO DI ABBONDANZA
Con l’arrivo dell’autunno, le tavole pugliesi si arricchiscono di sapori autentici, tra cui spicca il cardoncello, un fungo buono e prelibato, molto apprezzato dalla tradizione locale.
Il cardoncello, scientificamente noto come Pleurotus eryngii, è un simbolo della tradizione pugliese, raccolto e preparato dalle generazioni che ci hanno preceduto e ancora oggi onorato sulle nostre tavole.
In passato, le campagne pugliesi erano animate da uomini, donne e ragazzini che si alzavano all’alba per lavorare la terra. Tante donne, braccianti agricole, non possedevano nulla e si guadagnavano da vivere nei campi dei proprietari terrieri. Queste donne, prima di partire, impastavano il pane o sistemavano la casa, e poi si mettevano in viaggio per lunghe ore di lavoro sotto il sole. Le coltivatrici dirette, con un po’ di terra, stavano leggermente meglio, ma la vita nei campi era dura per tutti.
La tradizione del bracciantato agricolo in Puglia affondano le loro radici in secoli di lotte e sacrifici, e sono raccontate in modo straordinario nel libro "La memoria che resta" di Giovanni Rinaldi, scrittore originario di Cerignola. Questa opera rappresenta una delle ricerche più esaustive sulla vita dei braccianti nel Tavoliere, partendo dai primi del Novecento fino agli anni Settanta. Attraverso canti, storie di vita e fotografie, il libro ci porta nel quotidiano di chi ha lavorato duramente nei campi, con l'unico obiettivo di sfamarsi e guadagnare un pezzo di pane. Questo viaggio storico ci racconta anche delle loro prime battaglie per i diritti, a partire dal 1700 fino alla conquista simbolica del Primo Maggio.
Oltre al libro, Giovanni Rinaldi ha creato un archivio sonoro on line dedicato alla Puglia, che raccoglie canti, racconti, interviste. In questo archivio si trovano persino i canti e le testimonianze di persone che un tempo vivevano nel mio paese, San Giovanni Rotondo. E' un patrimonio unico che conserva le voci di chi ha vissuto quei tempi, mantenendo viva la memoria dei braccianti pugliesi e lasciandoci un'eredità inestimabile!
Una storia che mi è sempre rimasta impressa, e che si collega al mondo dei braccianti, è quella "Dell'uovo di Cianna de Nonna" . Mio padre e mio zio me la raccontavano spesso, ed è una vicenda che si è diffusa in tutto il paese nel tempo. Durante il lavoro nei campi i braccianti mangiavano spesso pane raffermo bagnato nell'acqua, condito con in po' di olio, la cosiddetta "acquasala fredda". A volte, se fortunati pane con le olive, cipolle o legumi ma il pasto era semplice e povero.
Molto spesso però il proprietario dei campi, alla fine della giornata preparava un pasto veloce per tutti i braccianti il "pancotto" o " l' acquasala calda", che veniva servito in un unico piatto condiviso. Una sera, racconta una storia che si tramanda nel mio paese, San Giovanni Rotondo, il proprietario preparò "l' acquasala con le uova" con al centro un unico uovo alla coque.
I braccianti erano tanti, ma nessuno osava prenderlo: forse per rispetto, forse per vergogna o per timore. Alla fine il proprietario disse: " Avete lasciato l'uovo, siete così sazi? E quella grascia puttana!" E se lo mangiò lui. L' episodio nel tempo, ha dato vita all'espressione "l'uovo di Cianna de Nonna", diventata un simbolo di avarizia, che rappresenta chi, pur avendo poco da offrire non condivide nemmeno quel poco.
Tornando a noi, quei braccianti pugliesi vivevano una vita di sacrifici. Dormivano su giacigli improvvisati e affrontando ogni giorno la fatica e la povertà, legati profondamente alla terra. Ogni giornata nei campi era un atto di sottomissione ma anche di resistenza silenziosa.
Gli ulivi che dominano il nostro paesaggio sono testimoni di queste storie. Sono colonne della nostra identità e hanno visto passare generazioni di uomini e donne che hanno lavorato queste terre. Non si può pensare alla Puglia senza ulivi, proprio come non si può immaginare il mare senza onde. Sono parte della nostra anima, della nostra storia e del nostro presente.
Per celebrare questo legame tra terra e tradizione, concludo con una ricetta semplice ma simbolica: "Lu crusc". Prendete una fetta di pane, abbrustolitela sulla brace, strofinatela con un po’ d’aglio e conditela con dell’olio novello, il primo olio della stagione, fresco e ricco di sapore. Le sue note fruttate e leggermente piccanti trasformano un piatto umile in un omaggio alla tradizione e alla dolcezza infinita della nostra terra.
Non avevamo le torce dei telefonini, ma una torcia fatta con una zucca rossa, scavata e trasformata in lanterna da mio zio Filippo. Lui aveva imparato questa tecnica durante la Seconda Guerra Mondiale, mentre era con gli inglesi, e d'estate ci preparava quelle zucche luminose, con una piccola candela all'interno, che usavamo per illuminare le nostre avventure notturne alla ricerca delle lumache. Oggi, tutto questo sembra appartenere a un passato lontano. I temporali estivi sono diventati rari, e quando arrivano sono distruttivi e l'ecosistema che circonda gli ulivi e le nostre campagne è cambiato.
Gli stormi, che ogni anno si fermavano nei nostri campi per nutrirsi delle olive prima di migrare verso i paesi caldi, quest'anno non troveranno quasi nulla. Ricordo ancora come i cacciatori si divertivano a fischiare per allontanarli dai campi, poiché un grande stormo poteva danneggiare intere piantagioni. Ma quest'anno, gli ulivi sono spogli, e gli stormi dovranno cercare altrove il loro cibo. Ma non tutto è perduto. Il "Leccino", una delle varietà più resistenti, ha dimostrato una straordinaria capacità di sopravvivere sia alla siccità che alla Xylella fastidiosa, una malattia che ha devastato molti ulivi in Puglia. Grazie agli studi condotti da un team, di cui fa parte anche un agronomo foggiano, si stanno trovando nuove soluzioni per combattere questa minaccia, e il "Leccino" ha dato segni incoraggianti di resilienza.
Per aiutare i nostri ulivi a sopportare meglio la siccità, possiamo evitare pacciamature troppo pesanti e optare per una soluzione più naturale: frantumare le foglie secche al di sotto delle piante. Questo crea un pacciame leggero che trattiene l’umidità, protegge il suolo e aiuta gli alberi a mantenere le risorse di cui hanno bisogno senza interventi troppo invasivi. Ma c'è bisogno di pioggia!
Non sarà un’annata da ricordare per la sua abbondanza, ma se c’è una cosa che ho imparato, è che gli ulivi, come noi pugliesi, sono testardi, resistenti e sempre pronti a rialzarsi! Magari la prossima stagione torneremo a brindare con il nostro "oro verde" sulle tavole. In fondo, la vita e la cucina sono fatte di alti e bassi, ed è proprio questo che le rende così speciali!
Un saluto speciale a tutti voi che condividete con me la passione per la cucina, le tradizioni e l'amore per la Puglia. Con amore e dolcezzeinfinite@Clementina.
Asphodelus
Durante una passeggiata lungo un antico tratturo, mi sono imbattuto per fortuna nell'Asphodelus, che cresceva accanto a un maestoso muretto a secco, e mi ha portato in una natura incontaminata. L'Asfodelo è tipico dell'entroterra pugliese, dove prospera in terreni aridi e assolati.
In diverse culture, l'asfodelo è stato un simbolo di grande significato sacro. Nella mitologia greca, questa pianta era considerata sacra, chiamata anche " il fiore degli inferi". Per i Greci era pratica diffusa piantare gli asfodeli intorno alle tombe.
Anche nella tradizione cristiana, questa pianta ha avuto un ruolo speciale. L'asfodelo era noto come il "Bastone di San Giuseppe". Si narra che quando il consiglio del Tempio cercava un marito per Maria, cercarono un segno divino. San Giuseppe si presentò con un bastone di asfodelo, che fiorì tra le sue mani, mostrando così la volontà divina. Da allora, gli steli di asfodelo sono stati considerati un segno di fede e di miracolo.
Questa pianta è molto diffusa in Sardegna ed è strettamente collegata alle tradizioni. I fusti di questa pianta vengono fatti essiccare e poi vengono intrecciati per creare cesti. Un tempo in Sardegna, ma ancor tutt'oggi, non c'è sposa che non abbia nel suo corredo i cesti di asfodelo. Questi cesti bellissimi, di varie forme e dimensioni, sono utilizzati per il lavoro in cucina, per la preparazione del pane e di altri cibi che ancora oggi vengono realizzati in casa. Questa antica tradizione, profondamente radicata nella cultura sarda, continua a rendere l'asfodelo una parte preziosa della vita quotidiana e dei matrimoni sardi.
L'asfodelo è particolarmente amato dagli insetti durante la sua fioritura, poiché il suo profumato nettare attira una grande varietà di api. Questa simbiosi tra l'asfodelo e le api non solo favorisce la biodiversità locale, ma anche la produzione di miele di alta qualità, arricchendo così il nostro ecosistema. Un'ampia varietà di altre specie botaniche, tra cui il finocchio selvatico, il rosmarino selvatico, l'origano selvatico, il mirto, la santolina, la ginestra, la ferula e molte altre, arricchiscono la flora del territorio del Gargano e della Puglia in genere.
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Asphodelus, semplcemente spettacolare! |
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Personalmente, il Cercis Siliquastrum è uno dei miei alberi preferiti, è impossibile non essere attratti dalla sua bellezza. Il suo colore acceso è affascinante, si distingue da chilometri di distanza, catturando immediatamente l'attenzione. I suoi grappoli di fiori sono semplicemente straordinari, emanano una bellezza che mi lascia sempre senza parole, mi incanta.
Prima, nella mia zona, non ne crescevano molti, ma ora, durante la primavera, ne vedo sempre di più. Confesso che nel periodo della fioritura vado in giro apposta per ammirarli e scattare qualche foto. La sua presenza trasforma il paesaggio in qualcosa di meraviglioso. È come se l'albero stesso irradiasse un'energia positiva che infonde felicità.
Per molti invece è un albero maledetto. Infatti, secondo la tradizione, l'albero di Giuda ha ottenuto il suo nome da Giuda Iscariota, il discepolo che tradì Gesù. Si narra che dopo il tradimento, Giuda si sia impiccato proprio su quest'albero, conferendo all'albero un'aura di mistero e drammaticità.
Per me, l'albero di Giuda è più di una semplice pianta. Anche se per molti è considerato un simbolo di benedizione e maledizione, io lo vedo in modo diverso. Giuda è morto molto tempo fa, e per me l'albero rappresenta una sorta di perdono. Penso che la fioritura rigogliosa dell'albero ogni primavera sia un segno che la vita continua nonostante le difficoltà. È come se la storia di Giuda e Gesù fosse un messaggio di speranza, di rinascita e dicesse che anche nelle situazioni più difficili, c'è sempre spazio per la bellezza e la rinascita.
La fioritura del mandorlo trasforma le campagne pugliesi con un'eleganza senza pari. Grazie a questi boccioli bianchi, puri e al tempo stesso fragili, le campagne si tingono di una bellezza delicata. Uno spettacolo meraviglioso!